lunedì 26 marzo 2012

PARTECIPAZIONE E CULTURA PER SOCIALIZZARE IL POTERE

Care amiche e cari amici,

anche oggi, dopo aver preso un buon caffè ed esserci rinfrancati col profumo della rosa, vorrei fare alcune considerazioni sulla politica, sulla partecipazione e su un certo tipo di cultura.

Viviamo, infatti, in una epoca di cambiamenti che attraversa il mondo globale.
Abbiamo sotto gli occhi: la crisi della politica e delle ideologie, il progressivo logoramento dei valori e della cultura, le contraddizioni e l’ingiustizia crescenti, la violenza diffusa, l'affermarsi del razzismo, dell'omofobia, della xenofobia. 
Tutto ciò mi ha imposto una riflessione sulla prassi politica e sulla necessità di una sua rifondazione culturale ed etica. 
Questo mi ha portata, quindi, ad una serie di letture la cui sintesi può essere riportata dalle seguenti considerazioni.

Innanzitutto chiediamoci: Cosa è lo Stato?

Lo Stato è costituito da un popolo che vive su un territorio e che si dà un’organizzazione ed è proprio dal modo in cui si organizza la società che si dà forma alla politica.
Infatti, essa può affermarsi o come dittatura o come oligarchia, organizzate per dominare sul popolo, o come democrazia comunitaria e partecipativa.
Il tipo di modello politico che prevale in una società, a sua volta, dipende da una serie di fattori, quali la sua struttura economica, i principi etici e/o religiosi dominanti, la sua cultura, e, soprattutto, il suo stato di consapevolezza e di partecipazione.
Nella cultura greca, lo Stato si identificava con la società; in quella moderna, invece, vi è una netta distinzione tra i due.
L’odierno sistema politico, che caratterizza tutte le democrazie occidentali, è basato sulla democrazia parlamentare o rappresentativa, cioè su un sistema politico, nato ed affermatosi con la rivoluzione francese, fondato sulle elezioni.
Purtroppo, oggi, specialmente in Italia, questo sistema è degenerato e ha determinato una prassi politica verticistica, di netta separazione degli eletti dai bisogni degli elettori.
Oggi, infatti, come constatiamo, la politica è caratterizzata dal distacco esistente tra governanti e governati.
Si è formato, così, il “Potere d'élite”, per la maggior parte, permeata da un liberismo spregiudicato che ci ha resi schiavi delle banche e della finanza speculativa e che ha disattivato ogni tipo di controllo o di giudizio morale e politico degli elettori, per cui il “Potere” è diventato autoreferenziale e si è attribuito scandalosi privilegi. 
Il nostro sistema politico, quindi, oggi, vive su una finzione di sovranità popolare, sulla tripartizione dei poteri, ed è sbilanciato più sulla libertà che sull’uguaglianza.
Questo perché tale sistema, di fatto, è stato caratterizzato dalla circolazione di élites politiche che hanno visto nello Stato solo la possibilità di “RUBARE IL BENE COMUNE E DI VIVERE ALLE NOSTRE SPALLE”.
Questa concezione verticistica, fondata su POLITICI DI PROFESSIONE, su OLIGARCHIE PARTITICHE e SINDACALI, nettamente separate dai cittadini e dai loro bisogni, ha trasformato la politica in una pratica di potere e privilegi e ridotto, così, i cittadini, a "clienti".
Per contrastare tutto ciò si può e si deve immaginare, invece, una pratica politica proveniente dal basso, dalla società civile nella sua interezza e coesione, che si contrapponga radicalmente alla prima.
Deve, cioè, affermarsi la “Comunità Politica” e la logica del “Buon Vicinato” alla anglosassone.
Infatti, la politica deve essere il diritto-dovere di partecipazione di tutti alla cosa pubblica, l’esercizio attivo e diffuso della cittadinanza, che comporti che ciascuno dedichi una parte del proprio tempo, sottraendolo al proprio lavoro e alla propria famiglia, alla soluzione dei problemi della comunità, attraverso forme di partecipazione attiva, di rotazione delle responsabilità, di controlli e di revoche. 
E’ questo il senso aristotelico dell’uomo “animale politico”, perché egli vive nella sua società e la sua attività, per trasformare la natura e la società , realizza la sua stessa natura umana.

Il problema reale della rinascita della politica è, quindi, quello della:

Socializzazione del Potere.

La socializzazione del potere, però, oltre alla partecipazione, presuppone, anche, la diffusione di una cultura critica, cioè l'affermarsi di una democrazia cognitiva, come precondizione della costituzione di una “Comunità Politica”.
Solo così la politica può ritrovare tensione morale e progettualità.
La partecipazione dei cittadini deve mirare al cambiamento della politica, ma deve essere una partecipazione consapevole e perciò colta.
Con la parola “colta”, però, non si intende, “erudita”.

La cultura, in questo caso, piuttosto, è:

“L’insieme di abitudini, costumi, pratiche, saper fare, saperi, regole, norme, divieti, strategie, credenze, idee, valori, miti, che si perpetua e si modifica, di generazione in generazione e che si riproduce in ciascun individuo tramite l’educazione, aggiornandosi alle esigenze della società.

Ed è a partire da questa cultura collettiva, di base, che permea sempre la società, che ciascuno seleziona, interiorizza e sintetizza la propria personale visione della vita, le proprie concezioni del mondo e i propri stili comportamentali. E', di fatto, una cultura strettamente interconnessa ai valori morali, per una nuova dimensione della vita.
La cultura, la conoscenza, infatti, si acquisiscono, per primo, attraverso la famiglia! 
Purtroppo, oggi, quest'ultima deve fare i conti, nelle odierne società complesse, con la comunicazione di massa che, di solito, è sempre asservita al gruppo di élite.
Quest'ultimo, infatti, per conservare il proprio potere, tende, sempre più, ad attuare, nella società, un processo di massificazione e di costruzione dell’uomo-massa, tramite i media, per castrare le potenzialità creative del singolo.
Le nuove generazioni, infatti, oggi, sono acculturate dai mass-media, mentre la famiglia e la scuola sono espropriate sempre più.
Invece è importante la partecipazione delle famiglie, nella scuola, nella vita della città, dei quartieri.
La cultura di ogni persona singola si può dire realmente tale se diventa 
                                             "modo di vivere e di pensare".
La cultura è organizzazione del proprio Io interiore, della propria personalità; è conquista di una coscienza superiore, direi sociale,  attraverso la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e doveri.
E’ per questo che occorre fare sviluppare nelle nuove generazioni una cultura critica, che sia anche critica di qualsiasi ideologia al potere.
E' per questo che è importante costruire una cultura universalistica, solidaristica, fraterna, che abbraccia i problemi fondamentali di tutta l’umanità (diritto alla vita, al lavoro, all’amore ecc.) e una consapevolezza critica che, soprattutto, lo liberi dal “Consumismo”, altro ostacolo alla crescita di una coscienza sociale.
Infatti, oggi, il bisogno di possedere, di consumare, di adoperare, di rinnovare costantemente gli apparecchi, i ritrovati, gli strumenti e motori offerti e imposti alla gente è diventato, quasi, un bisogno biologico ossessivo.
Il consumismo è diventato quasi una seconda natura dell’uomo, che gli rende difficile ogni cambiamento e che lo rende schiavo delle indicazioni, degli ordini,  della pubblicità.
Il connubio politica-economia-ideologia, crea, infatti,  una politica della vita, che plasma, ad arte, i desideri, i bisogni stessi degli uomini e, perciò, ne controlla il corpo e la mente, rendendo schiava l'intera società, a vantaggio di pochi e soprattutto della élite.

Per questo nessun cambiamento può avvenire se non avverrà un mutamento della coscienza e dell’inconscio sociale. Il cambiamento può essere realizzato solo da persone interiormente libere, fuori dal circuito dell’individualismo-egoismo-consumismo.

Ciò può realizzarsi solo attraverso un lungo processo educativo.
E’ necessaria, quindi, una rinascita culturale nutritiva della pratica politica e dei suoi contenuti.
E' necessaria la costruzione di una società di liberi ed eguali, e, perciò, non condizionati.
La crisi attuale della politica, infatti, è, in primo luogo, crisi culturale e valoriale e richiede, per  l'affermazione  di una coscienza sociale, una politica della cultura:
  • per comprendere ciò che accade nella società e come migliorane le condizioni di vita.
  • che superi le contraddizioni tra la crescita continua della produzione, l’accumulo di ricchezza e beni per pochi e l’estrema povertà di miliardi di persone.
  • che superi la precaria condizione umana, l’insoddisfazione e l’infelicità.
  • che tenda a creare nuove proposte di convivenza e di relazioni umane, che privilegi il bene comune, cioè che miri all’uomo e ai suoi contesti (famiglia, scuola, quartiere, città, ambiente).
  • che non sia ideologica, come sistema di valori precostituiti, ma sia una cultura critica, che s’interroghi intorno al mondo in cui viviamo, sulla sua origine e sulla sua evoluzione,
  • che si ponga domande fondamentali e cerchi risposte sull’essere e sull’esserci, sulla vita e sulla morte, sull’organizzazione della società. L’essenza umana, infatti, non è solo l’essere, ma l’esserci con gli altri, l’essere sociale.
  • che sia autentica e che si faccia critica dell’ideologia e di tutti i fondamentalismi e dogmatismi.
  • che tenda ad una presa di coscienza capace d’interpretare la realtà e i bisogni della società.
  • che riorganizzi l’apparato statale, la nostra esistenza e tutta una serie di momenti culturali,
  • che sradichi vecchie abitudini e ne introduca di nuove.
  • che costruisca un’egemonia culturale fondata su valori di solidarietà, di uguaglianza e di giustizia.
  • che costruisca una nuova modalità di stare insieme con gli altri.
  • che prenda in mano il processo formativo delle nuove generazioni ma anche degli adulti.
  • Che porti ad un nuovo rapporto tra individuo e società, a una nuova soggettività come momento fondamentale e costitutivo della trasformazione dei processi sociali.

Le uniche che potranno realizzare questa cultura politica, credo, siano la Famiglia, la Scuola, ed una "buona" comunicazione mediatica, anche con l'uso intelligente dei social network. 


Esse possono e devono assurgere ad un ruolo centrale, come fattore di promozione culturale e sociale, come ambiente:
  • dove si possa formare il senso critico delle nuove generazioni,
  • dove si  possa  formare la capacità di scegliere consapevolmente,
  • dove si possa  formare il senso di rispetto e di ascolto degli altri;
  • dove si  possa  formare il senso della comunità, della solidarietà e del bene comune,
  • dove si possano porre le premesse per diventare buoni cittadini e buoni governanti, in modo da realizzare una vera democrazia politica, che superi la scissione tra governanti e governati. 

Perciò,


LA SOCIETÀ DEVE ACQUISIRE IL "POTERE"

attraverso il recupero e l'integrazione delle diverse culture del nostro popolo per poi usarne la ricchezza, attraverso la "partecipazione attiva", al fine di migliorare la nostra vita e la società stessa. E' necessario che, nella società, si affermi una sorta di  "Movimento per Unire", che sia contro tutte le divisioni sociali, gli egoismi, e il potere di élite. 
Solo allora potremo dire: " Siamo Uniti dall'Idea che..." e che "Rimarremo uniti anche se ci saranno delle idee su cui non potremo essere uniti e sulle quali, però, opereremo una mediazione sincera ".


un abbraccio.

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