mercoledì 21 marzo 2012

VADEMECUM SULL'UNIONE EUROPEA: I PRIMI PASSI (1918-1949)

Care amiche e cari amici,

Un buon caffè è proprio quello che oggi ci vuole, per rinfrancarci. La rosa illumina con il suo colore bianco il nostro locale.
Come vi avevo promesso, voglio continuare il mio racconto sull'Europa, descrivendovi, alla maniera del “caffè da Graziella”, quali sono stati i primi passi, pur sempre importanti, che hanno avviato questo processo, purtroppo lungo, verso una vera integrazione tra popoli.
Voglio perseverare nei miei proponimenti anche se qualcuno può pensare che l'idea di Integrazione Europea sia ormai una idea "vintage" che appare, cioè, superata dagli ultimi avvenimenti relativi ad una sua possibile disgregazione dolorosa che sta interessando l'area dell'Euro, in cui addirittura una nazione come la Grecia sta subendo delle rovine sociali ed economiche, peggio che se fosse sotto l'azione di una guerra vera e altre nazioni sono state commissariate dalla stessa Europa, ed altre lo saranno, sotto la spinta della Francia e, soprattutto, della Germania che aspira al predominio. 
Forse, queste ultime pensano di essere loro stesse immuni dal cancro della finanza speculativa che approfitta degli errori economici dei paesi? 
Sicuramente no! 
Tutto ciò viene permesso perché non esiste ancora una Europa politica e quindi non esistono regole comuni che tutti devono rispettare, specialmente le banche, e questo, purtroppo, non fa altro che provocare ulteriori divisioni, ancora più profonde,  tra nazioni, soprattutto, tra il Nord e il Sud dell'Europa. 
L'Europa Occidentale, e particolarmente gli Stati che oggi formano l'Unione Europea, hanno già conosciuto divisioni che affondano le radici nella storia e che si percepiscono nitidamente ancora oggi. Per esempio, la lingua è ancora per molti versi una barriera all'interno dell'Europa; la religione è stata per secoli causa di violenti scontri che talvolta, come in Irlanda, ancora continuano; le lotte, in un recente passato, per ottenere l'annessione di territori sempre più vasti o ricchi di risorse,  hanno reso i confini molto "mobili" (basti pensare all'Alsazia e alla Lorena);  inoltre i paesi europei, per tali divisioni e per tali catastrofi economiche, che hanno facilitato l'affermarsi di nazionalismi esasperati e, poi, dittature aggressive,  si sono combattuti nel secolo scorso, scatenando due guerre mondiali. 
Per evitare il ripetersi di avvenimenti così tragici, oggi più che mai, è necessario, perciò, rinfocolare la necessità dell'affermarsi di una Europa Federale politica, vagheggiata da Altiero Spinelli, alla quale aggiungerei un Sistema Presidenziale a elezione diretta, che porti alla concretizzazione degli STATI UNITI D'EUROPA
Questo lo si potrà fare solo se dell'idea di Integrazione Europea ne conosciamo la storia, sia delle sue vittorie, sia quella dei suoi innumerevoli fallimenti, che in diversi periodi ne hanno ostacolato e addirittura interrotto l'affermazione, e ne conosciamo, anche, i motivi per i quali questa idea ha ripreso, ogni volta, il suo cammino, in modo sempre più prepotente. 
Comunque, la prima percezione della necessità di una Europa unita si concretizzò sin dalla fine del primo conflitto mondiale, quando una élite di intellettuali la concepì per porre fine ai massacri tremendi che fino a poco tempo prima si erano verificati. 
Dopo il patto di Locarno del 1925 venne istituita una commissione presso la Società delle Nazioni (trasformata poi in ONU), per studiare tale possibilità. 
Si era accesa, quindi, una tenue “fiammella” che venne quasi spenta dalla crisi del '29 che interruppe l'integrazione dei mercati e spinse i paesi verso il nazionalismo economico, e quindi verso quello politico, del quale il secondo conflitto mondiale sarà una conseguenza evidente.
I movimenti di Resistenza europei, pressati prima dalla guerra e poi, come classe dirigente, dalla ricostruzione e dai relativi problemi economici gravissimi, furono poco propensi ad impegnare i propri paesi nella costruzione di un'Europa unita. Anzi tali movimenti si rivelarono apertamente nazionalisti. 
La fiammella fu alimentata, durante la clandestinità, solo dal Partito di Azione Italiano che prefigurava che la futura Costituzione Italiana si sarebbe dovuta strutturare con l'obiettivo della affermazione di una Europa Federale. Il Manifesto di Ventotene, di cui furono autori Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, delineò un'Unione europea come risultato di una grande rivoluzione politica che doveva portare ad un nuovo patto sociale, ad una nuova democrazia e alla morte dello Stato-Nazione. 
Questa visione così rivoluzionaria sarà causa sia del grande fascino che l'idea eserciterà sulle élite intellettuali, sia dei suoi limiti pratici.
Il dopoguerra, però, si presentò problematico sia per i rapporti tesi tra vincitori e vinti sia perchè la URSS occupava la parte orientale dell'Europa, dando inizio a quelle tensioni che portarono alla “guerra fredda” che terminò solo nel 1989, con la caduta del muro di Berlino. Comunque, nel Congresso dell'Aia del 1946, promossa dallo "United Europe Movement" di Churchill, sulla scelta per la via migliore verso la integrazione, iniziò un dibattito acceso tra i fautori del “Federalismo” che chiedevano fosse istituita una “Costituente Europea” eletta direttamente dai cittadini e i fautori “dell'Unionismo” o “Confederalismo”, che spingevano per una Assemblea nominata dai Parlamenti Nazionali.
Tra queste due correnti decisamente opposte tra loro, cominciò a formarsi una terza linea di pensiero, quella “funzionalista” che considerava troppo riduttiva l'idea confederalista e utopica quella federalista.
Il progetto "funzionalista" sostenne che l'Unione Europea si sarebbe realizzata soltanto attraverso integrazioni settoriali, cioè attraverso parziali cessioni di sovranità ad organismi sovranazionali.
I funzionalisti, spinti dalla Francia di Schumann e di Monnet, avviarono, quindi, un processo di cooperazione intergovernativa tra Stati membri che avrebbero interagito, come “soggetti sovrani”, in appositi organismi di collaborazione. 
Le prime regole furono:
  • i rappresentanti degli stati agivano in nome e per conto di una data nazione, in base a direttive da questa impartite;
  • nelle decisione valeva il principio di unanimità;
  • gli atti deliberati non erano vincolanti.
Queste cooperazioni vennero adottate, spesso, a carattere regionale fra due o più membri, le più importanti delle quali furono quelle a carattere militare ( tra Francia e Gran Bretagna).
Il 5 giugno 1947 venne lanciata l'idea del piano Marshall, o ERP, programma di aiuti economici e finanziari all'Europa – pilastro economico della politica americana anticomunista – che venne approvato dal congresso degli Stati Uniti nel 1948; nello stesso anno veniva creata l'OECE (Organizzazione europea di cooperazione economica), istituzione destinata a coordinare la ricostruzione dell'economia europea e lo sfruttamento dei fondi ottenuti tramite il piano; di fronte all'OECE era responsabile l'ECA, l'ente che gestiva direttamente i fondi.
L'OECE fu  sostanzialmente un fallimento, a causa anche del disinteresse britannico, e diventerà una sorta di organo consultivo utile solo per la reciproca informazione. 
Il piano Marshall, per quanto fosse riuscito a rimettere in sesto le economie del continente, fallì l'obiettivo dell'integrazione; otterrà però la liberalizzazione delle economie europee.
Il 17 marzo 1948 nacque il patto di autodifesa collettivo, fondato col Trattato di Bruxelles al quale aderirono Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi,e Regno Unito, mentre altre nazioni parteciparono all'organizzazione come osservatori o come membri associati, per un totale di 28 paesi coinvolti. 
L'art. 5, prevedeva la mutua assistenza di tutti gli Stati membri in caso di aggressione nei confronti di uno di essi in Europa,  provocata dall'URSS, e consultazioni in caso di aggressione in un altro continente o in caso di minaccia della Germania. 
Era inoltre prevista una cooperazione economica, sociale e culturale fra le nazioni partecipantiLa rinascita dell'Europa occidentale, quindi, muoveva da volontà di europeismo come progetto politico ed economico contro l'egemonia sovietica nella Europa orientale.
Il 5 maggio 1949 sorsero due organizzazioni importanti: un Comitato dei Ministri che aveva il potere esecutivo e il Consiglio d'Europa, con finalità puramente consultive. E' bene precisare che il Consiglio d'Europa non deve essere confuso con il Consiglio Europeo che nacque solo nel 1974 e del quale parleremo in seguito.
L'articolo 1 dello statuto del Consiglio d'Europa afferma che:

 "...lo scopo del Consiglio d'Europa è di raggiungere maggiore unità fra i suoi membri, al fine di salvaguardare e realizzare gli ideali ed i principi che sono la loro eredità comune e facilitare il loro progresso economico e sociale." 

Questo scopo sarà perseguito dagli organi del Consiglio tramite la discussione di questioni di interesse comune e attraverso accordi e azioni comuni in campo economico, sociale, culturale, scientifico, legale e amministrativo e ai fini del mantenimento e dell'ulteriore realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Nonostante si proponesse questi grandi obiettivi il Consiglio d'Europa aveva scopi troppo generali e, problema maggiore, la sua struttura era totalmente intergovernativa e quindi non indipendente dalla volontà dei singoli stati membri i quali ritenevano che i compiti che esso doveva svolgere non potevano andare oltre la semplice cooperazione volontariaIl Consiglio d'Europa nasceva, quindi, solo come un foro di dibattito e un organo di consultazione sotto lo stretto controllo dei governi ed era ben lontano dal costituire, sia pur in nuce, il nucleo di un governo europeo. Queste forti limitazioni non permisero al Consiglio di porsi come base di una futura unione europea, ma esso svolse e continua a svolgere ancora oggi compiti rilevanti nel campo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 

Un Abbraccio e alla prossima

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