venerdì 21 ottobre 2011

Viaggio in Abruzzo, Pretoro

Care amiche e cari amici,
sorseggiate con gusto il vostro caffè fumante e abbandonatevi al profumo della rosa fresca che il vostro “caffè da Graziella”, oggi vi offre. 
Oggi c’è anche un altro fiore, il Maggiociondolo, di colore giallo che viene scambiato fra i giovani abruzzesi, nella notte di calendimaggio, in cui si festeggia l’arrivo della primavera; esso rappresenta un pegno d’amore che viene appeso sulla porta della donna amata. Voglio farvi viaggiare nel tempo e nello spazio in un ambiente magico ed insieme mistico, in cui le tradizioni pagane e cristiane si fondono e diventano importanti in quanto rappresentano l’anima di un popolo, quello abruzzese, chiamato “ forte e gentile”, perché forgiato dalle sue “aspre” montagne e dalle sue “dolci” vallate degradanti  verso il mare.
Vi è mai capitato , d’estate, nel pieno del caos delle cosiddette attività vacanziere, di desiderare di allontanarvi  dagli stress derivanti da questo rito tipicamente ”consumistico” e desiderare, invece, di immergervi nella natura per cercare un ristoro per la mente, con storie che io definisco “storie dell’anima”, che parlino di ambiente, magari anche di duro lavoro quotidiano, di pericoli che da entrambi possono derivare e di esorcismi che il popolino, nella sua meravigliosa ingenuità, compiva in un lontano passato, e forse anche oggi, per sottrarsi al male?
Questo è il viaggio che vi propongo, facendovi visitare idealmente, come ho fatto io, un paesino arroccato, anzi direi abbarbicato sulle rocce della Maiella, considerata la montagna madre degli abruzzesi:

La Maiella Madre

Infatti, durante una escursione in montagna con amici, in Abruzzo, mi sono ritrovata in un paesino arroccato sulla roccia, Pretoro, “Pretorium” ( Luogo di passaggio) che mi ha subito affascinato, invogliandomi a passeggiare.  Vi sono arrivata al tramonto, in una magnifica giornata senza nuvole, con una luna già luminosa ed enorme, quasi la si potesse toccare.
Mi sono inerpicata, così, per le stradine e le innumerevoli gradinate di quel borgo medievale, tutte in salita, tortuose, respirando aria pura e godendo di un paesaggio mozzafiato, che, partendo dagli scoscesi dirupi, si perdeva lontano fino al mare Adriatico, ancora illuminato dagli ultimi raggi di sole.
Il cielo, poco dopo, diventando quasi una coperta nera  traforata,  sembrava facesse filtrare dai suoi piccoli buchi, le luci sfavillanti del creato: le stelle!
Ho dimenticato, allora, completamente, il caos della città ed i riti della cosiddetta “civiltà”, lasciandomi alle spalle la vita quotidiana e partecipando all’armonia della natura.
Ovviamente, come d’abitudine, mi sono recata nel solito “tempio dedicato alle storie”, cioè in un “caffè”, la cui terrazza invitava lo sguardo e lo spirito a perdersi nell’immensità dello spazio sottostante.
Il “caffè”, in certi posti, rappresenta una vera e propria “biblioteca”  in cui vengono depositate e tramandate, oralmente, le “storie” e le “tradizioni” locali.
La prima storia che mi hanno raccontato è quella legata alla montagna stessa, la Maiella, che è, da sempre, per gli abruzzesi, la montagna legata al concetto della magia e della maternità.
La chiamano, infatti,  “Maiella madre”! 
Con orgoglio, hanno aggiunto, che, forse, la sua conformazione così imponente ed impenetrabile ma, allo stesso tempo, così dolce e compatta, avendola difesa dagli attacchi dell’uomo, l’ha resa fino ai tempi recenti, quasi inviolabile, avvolgendo le sue vette di leggende e di miti.
Il suo nome, infatti, sembra derivare da quello della dea Maia, dea della fecondità e del risveglio naturale in primavera,  che stanca e con il cuore spezzato dal dolore si adagiò sulla montagna, dopo che il figlio Ermes, avuto da Giove, morì per una freccia che lo trafisse in battaglia. 
Maia, infatti, con il figlio ferito, era giunta sul monte, che allora si chiamava Paleno, per cercare delle erbe medicinali di cui era ricco il posto e che erano in grado di guarire il figlio, ma non le trovò perché coperte dalla neve. Ermes  fu sepolto sul Gran Sasso e, Maia, sul monte Paleno che da allora si chiamò Maiella. Ancora oggi, il sibilo del vento tra i rami, si crede sia il lamento di Maia che piange il suo amato figlio. Giove volle ricordare il giovane e sul monte vi fece nascere un albero dai fiori gialli e dorati dandogli nome di Majo, il Maggiociondolo. 
La Maiella è sempre stata una montagna sacra, sia per i pagani, ma anche per i cristiani i quali vi eressero diverse abbazie ed eremi; la Maiella e’ la montagna più fiorita d’Italia e per questo e’ chiamata “il regno dei fiori”.
La leggenda dice che la ricchissima flora magellana, con il tripudio dei fiori dai mille colori, rappresenti il prezioso "tesoro funebre" della diva Maia, tesoro richiamato, come mi hanno spiegato, anche in due versi della mitica leggenda:
“Un mesto corteo di fiori per Maia, salì a seppellirla in un’alta giogaia”.
Ma le leggende, i miti, le tradizioni, si sa, attengono all’anima di un popolo e sono strettamente legate al tipo di lavoro e al tipo di ambiente che questo popolo svolge e abita.
Riportando il racconto che mi hanno fatto:
“In quel tratto di montagna, sempre piena di boschi e di altopiani, l’attività economica prevalente è sempre stata la pastorizia e la lavorazione del legno, tradizione che ancora oggi, anche se in tono minore, rispetto al passato, viene ancora svolta.
Un tempo gli abitanti di Pretoro venivano chiamati “fusari”, perché il loro prodotto più importante, in legno, erano i “fusi”, strumenti che permettevano di filare a mano.
In quell’ambiente abbastanza isolato, nei tempi passati, la popolazione ha, da sempre, vissuto in simbiosi con la natura aspra e selvaggia che insieme è stata sì fonte di sopravvivenza ma anche di pericoli legati sia alla durezza degli inverni, sia all’aridità della terra sia alla convivenza forzata con animali, in particolare il lupo e il serpente. Da sempre l’uomo, pur affrontando i pericoli, ha cercato di esorcizzarli con riti magici o affidandosi ad entità deputate a tale scopo.
Per esempio gran parte della gente dell’Abruzzo aveva il culto dei rettili, pericolo reale nella loro vita quotidiana, ed onorava la Dea Angizia (dal latino angius= serpente) che le aveva insegnato l’uso dei veleni e contro veleni. Si narra che ella avesse dimorato in una grotta ai limiti del lago Fucino.
Nella realtà era stata, sicuramente, una donna forse più esperta di altre, che, praticando magia e medicina (due arti allora intrecciate tra di loro) fu, in seguito, mitizzata e innalzata al rango di Dea protettrice.
Col tempo, con l’evolversi delle culture e della religione, al posto della Dea Angizia il popolo pose San Domenico Abate, in onore del quale ancora oggi si celebra la festa dei “serpari” che viene celebrata a Cocullo, ma anche a Pretoro.
A Pretoro, in più, la storia di San Domenico e delle serpi si fonde anche con un altro episodio:
"il miracolo del Lupo". 
Meravigliosa è la sacra rappresentazione curata dal poeta Raffaele Fraticelli che ha esaltato la profonda religiosità cristiana del popolo abruzzese, ma ne ha anche evidenziato i retaggi del passato di origine pagana, simboleggiati dal “laccetto” in cotone bianco e rosso, che ogni “fusaro”, porta al polso per preservarsi dal morso degli animali rabbiosi e dei serpenti.
La leggenda narra di un bambino, figlio di due boscaioli, che viene rapito da un lupo, mentre i genitori sono nel bosco a far legna. San Domenico, conseguentemente ad un profondo atto di fede dei genitori, che, affranti, lo pregavano accoratamente, ammansisce il lupo facendo sì che il lupo stesso riporti vivo il piccino. L’intera azione si fonda sulla religiosità ingenua ed istintiva della gente di montagna, che ha sempre confidato nella Divina Provvidenza, in ogni istante della propria attività, e a cui si è sempre affidato  con fervida umiltà e totale fiducia.

Ecco per voi due belle immagini della Maiella :



Queste le leggende e le tradizioni, che spero abbiate gustato appieno, ma, ovviamente, a parte la grande ospitalità e disponibilità della gente del posto, senza la quale non avrei potuto raccontarvi queste storie, vi è un altro aspetto che mi ha affascinato a Pretoro, e cioè la sua gastronomia fatta di “piatti poveri” ma deliziosi, basati soprattutto su paste fatte in casa e carni di agnello cotte in vario modo ma soprattutto alla brace realizzata con legni profumati.
Come al solito non faccio recensioni dei locali, ma la sosta al ristorante “I Rintocchi”, così chiamato dai proprietari, grazie al suono della campana della vicina chiesa di San Nicola  che inesorabilmente ogni 15 minuti segna il passare del tempo con i suoi “rintocchi”,  ha concluso degnamente la mia serata di sogno e  di evasione. Caratteristica del locale è che è ricavato in una antica abitazione scavata nella roccia. Il suo giovane proprietario, Stefano, ragioniere fresco di diploma, prosegue con entusiasmo e attenzione la vecchia attività di famiglia, che affianca a quella di un negozio di articoli sportivi.
Ragazzo industrioso del Sud!   

1 commento:

  1. Non è facile trovare le parole giuste per descrivere la bellezza della Maiella, ma Lei le ha trovate...complimenti! Credo che proprio come Maia che si recò sulla "Maiella madre" per cercare le erbe medicinali per guarire suo figlio, la gente adesso si reca nei sentieri della Nostra bellissima montagna per cercare la cura per lasciarsi alle spalle per qualche ora i problemi della vita, che lei giustamente definisce "consumistica". Sono contento che si sia trovata bene a "I rintocchi". Grazie e a presto

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